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La sfida della solitudine per chi è single e per chi è in coppia
Il vuoto affettivo è una morsa capace di stritolare. Può affliggere uomini e donne, giovani e anziani, casalinghe e donne in carriera. Può manifestarsi a seguito di una separazione coniugale, ma anche per la fine di una storia d’amore senza convivenza. Può derivare dalla difficoltà di superare un lutto. Può colpire le persone single quanto quelle sposate. Imperversa nell’anonimato delle metropoli ma diventa ancora più doloroso nel piccolo centro, quando l’individuo non riesce a integrarsi. Può ingenerare una spasmodica ricerca del partner, o di nuove relazioni compensatorie, ma può anche scatenare una reazione depressiva d’isolamento, autocommiserazione e ritiro di tutti i precedenti investimenti affettivi.
Normalmente chiamiamo questo vuoto affettivo: solitudine.
Questo tipo di solitudine non consiste soltanto nell'assenza materiale di una o più figure affettivamente importanti (es. mancanza di un partner o di amicizie, perdita di una persona cara, ecc...), ma nella risonanza interiore di questa assenza, che si accompagna a sofferenza nella misura in cui viene percepita in termini di privazione.
Anche se parlare di “donne in divieto d’amore” può sembrare quasi uno slogan, con questa espressione si è voluto adottare un approccio psicosociale di tipo non-patologizzante, vale a dire una prospettiva che evita di ricondurre il problema (solitudine, difficoltà relazionali, ecc...) a questa o quella categoria psicodiagnostica (depressione, ansia, disturbo del carattere, dipendenza affettiva, ecc...), riconoscendolo piuttosto come una delle tante sfide che la vita comunemente pone a ciascuno di noi.
L'immagine adottata serve pertanto a circoscrivere una duplice area di disagio:
1) quella derivante dal senso di solitudine, inteso sia come isolamento (assenza o perdita di relazioni affettive importanti), sia come difficoltà a trovare nei rapporti esistenti un modo per colmare il proprio vuoto affettivo interiore;
2) quella derivante dalla paura della solitudine, quando questo timore diventa la ragione per accettare compromessi altrimenti inaccettabili, accontentandosi di partner inadeguati o maltrattanti, e mantenendo in essere relazioni di coppia lesive della propria dignità .
Né la solitudine né la paura della solitudine rappresentano una malattia, anche se provocano altrettanta sofferenza e possono talora associarsi a effettivi quadri psicopatologici o portare col tempo al manifestarsi della malattia stessa (es. depressione, disturbi psicosomatici, ecc...). Per questo motivo, il Percorso Guidato di Gestione della Solitudine si differenzia da una psicoterapia (per tempi, costi, delimitazione del problema, metodo e finalità), configurandosi piuttosto come un aiuto psicologico per fronteggiare situazioni di difficoltà.
"Donne in divieto d’amore” è dunque insieme un titolo e un programma, con il quale la problematica della SOLITUDINE viene a focalizzarsi sulla dimensione interiore degli affetti ("amore”), invece che sul numero delle relazioni sociali esistenti, o sull'attuale presenza/assenza di un partner. L'immagine vuole infatti rimarcare quel vissuto di costrizione ("divieto” piuttosto che "scelta") che differenzia il sentirsi "tristemente sole" dallo slancio positivo o dalla tristezza meditativa della solitudine introspettiva, contemplativa e creativa, suggerendo la rilevanza della dimensione psicologica ("divieto" in quanto vissuto soggettivo di costrizione/limitazione) rispetto a interventi che cerchino la risoluzione del problema in ambito esclusivamente sociale (opportunità d'incontri).
Dai dati dell'ultimo censimento ISTAT (2011) risulta che, in Italia, una famiglia su tre è ormai composta da una sola persona.
Molte di queste famiglie "monopersonali" sono costituite da vedovi/e, che sfiorano i 5 milioni e sono per l'82% donne. Ma in strepitoso aumento sono soprattutto le persone separate o divorziate, che negli ultimi 10 anni sono quasi raddoppiate: da un totale di 1.530.543 nel 2001, passiamo ai 2.658.943 del 2011. Se poi estendiamo il confronto al decennio anteriore, nel 1995 si avevano 158 separazioni e 80 divorzi su 1000 matrimoni, mentre nel 2010 risultano 307 separazioni e 182 divorzi ogni 1000 matrimoni. Nella metà delle separazioni e in un terzo dei divorzi è attualmente coinvolto un figlio minore. La durata media di un matrimonio è ormai stimata intorno ai 15 anni.
A questi numeri si aggiunge tutta la massa di persone celibi e nubili (in quanto né sposati né divorziati): circa 25 milioni. Ma poiché tra questi vi sono anche giovani che hanno appena raggiunto la maggiore età, nonché tutte le coppie - conviventi e non - che non hanno contratto matrimonio, non si può certo pensare che sia il dato dello stato civile a permetterci di identificare chi è "single" da un punto di vista strettamente affettivo. Sappiamo peraltro da altre statistiche che è andata sempre più innalzandosi l'età del matrimonio e che molte donne nubili e molti uomini celibi restano semplicemente a vivere con i genitori fino a quando non si sposano, se non fino alla morte di questi ultimi. E d'altro canto non è infrequente che anche il separato o la separata faccia ritorno nella casa d'origine, soprattutto quando non riesce a fronteggiare i costi di un'abitazione indipendente. Per contro, soprattutto nelle grandi città del Centro-Nord, non mancano giovani di ambedue i sessi che affrontano invece la vita da single dopo aver lasciato la famiglia e i luoghi d'origine per ragioni di studio e di lavoro. Lo stesso dicasi della moltitudine di persone che nel corso degli ultimi venticinque anni sono immigrate in Italia - nei grandi o nei piccoli centri - per sfuggire alla miseria o ai regimi politici dei loro Paesi di provenienza. Ne consegue che nella sola Milano, per la fascia di età dai 30 ai 64 anni, risultano ben 136.322 le persone di ambo i sessi che vivono da sole (a prescindere dal loro stato civile). Di queste, le donne sono 64.905 (cfr. statistiche Comune di Milano ).
Né il fatto di vivere da soli né lo stato civile bastano tuttavia a individuare le persone che soffrono di solitudine. Ormai da tempo anche per le donne il matrimonio non è più considerato l'unico valido motivo per lasciare la casa paterna, e una vita da single liberamente scelta può risultare anche gradevolissima, soprattutto quando vengono mantenuti buoni rapporti con la famiglia, si è attorniati da amicizie, e magari non manca la presenza di un partner. Viceversa, proprio nella misura in cui il vissuto di solitudine non risulta correlato a nessuna specifica fascia d'età o classe demografica, non occorre trovarsi davvero nel deserto (sociale e relazionale) per sperimentarlo. Il senso di solitudine può affliggere le persone socialmente isolate quanto quelle che dispongono di una fitta rete di relazioni, le persone single che non trovano il partner giusto quanto quelle che pervengono a una separazione dopo un legame di coppia duraturo, una convivenza o un matrimonio, e nondimeno anche chi è sposato, e con figli, quando i rapporti familiari sono conflittuali, o comunque non saturano i bisogni affettivi profondi.
È in questo senso che preferisco parlare qui di solitudine affettiva (o divieto d'amore) come di un vissuto che può coniugarsi con una condizione oggettiva di isolamento, ma può anche prescinderne, articolandosi in tre diverse dimensioni (v. articoli: Essere sola; Sentirsi sola; Paura di restare sola), ciascuna delle quali raccoglie situazioni che presentano specifiche sfide da affrontare.
Proprio la specificità di queste sfide richiede a mio avviso che un Percorso Guidato di Gestione della Solitudine - per risultare efficace - debba svolgersi a livello individuale e personalizzato, in modo tale da poter adattare metodo, sostegno relazionale e strategie d'intervento ai bisogni reali della persona che domanda un aiuto per consentirle di meglio fronteggiare le proprie difficoltà.
Tel. 340 8010195
Questo numero sostituisce quello apparso in precedenza su volantini e altri siti, ormai disattivo.
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