I PRESUPPOSTI CONCETTUALI:
(Segue da: Solitudine affettiva e solitudine sociale)
2. I bisogni relazionali
Sia il bisogno di attaccamento (che caratterizza la solitudine affettiva) sia il bisogno di appartenenza (che attiene alla solitudine sociale) rientrano nel gruppo più ampio dei bisogni relazionali dell'essere umano (quelli che invece Maslow chiamava tout court “bisogni d’appartenenza”; Maslow 1954).
Sebbene nell'infanzia questi due bisogni si manifestino in sequenza (prima compare l'attaccamento del bambino alla figura materna, poi il bisogno di relazionarsi col gruppo di pari), già a partire dall'adolescenza risulta difficile considerarli del tutto indipendenti, come implicitamente vorrebbe la tesi di Weiss (1973), secondo la quale solitudine affettiva e solitudine sociale costituirebbero "sindromi" distinte, che richiederebbero rimedi alternativi, proprio perché prodotte da deficit relazionali di diverso tipo.
Un semplice diagramma può aiutare a chiarire quello che costituisce a mio avviso il punto critico del discorso di Weiss, e le sue implicazioni d’ordine pratico (v. fig. 1).
Fig.1
Ponendo sugli assi i due ordini di bisogni (attaccamento e appartenenza), come se il punto “zero” discriminasse tra bisogno “soddisfatto” e bisogno “frustrato” (valori negativi dell’ipotetica scala graduata di soddisfazione soggettiva del bisogno), vengono a configurarsi quattro distinte situazioni (quadranti I, II, III, IV).
Il primo quadrante (entrambi i valori positivi) identifica una situazione in cui ambedue le forme di solitudine sono assenti (“OK!”). La solitudine affettiva è individuata invece dal secondo quadrante, dove sono positivi i valori di soddisfazione del bisogno di appartenenza, ma negativi quelli del bisogno di attaccamento. All’opposto, nel quarto quadrante troviamo valori positivi per l’attaccamento mentre sono negativi quelli per l’appartenenza: ecco dunque la solitudine sociale. Ma che dire del terzo quadrante, dove entrambi i valori sono negativi, e le due solitudini si sovrappongono?
Le argomentazioni di Weiss (1973) persuadono facilmente finché si considerano i casi che ricadono nel secondo e nel quarto quadrante: è ovvio che, se una persona è già soddisfatta sull’altro versante (affetti personali piuttosto che integrazione sociale), non possiamo aiutarla a risolvere il suo problema incrementando semplicemente il “tesoro” che già possiede. Ma il terzo quadrante ci suggerisce l'esistenza anche di situazioni in cui la frustrazione - totale o parziale - attiene ad ambedue i bisogni.
Si tratta solo di una congettura astratta o il diagramma illustra un dato di realtà?
E' mia convinzione che le situazioni teoricamente individuate dal terzo quadrante non solo esistano, ma siano anche quelle dove il "problema solitudine" risulta più pressante, tanto da rendere cruciale pensare a possibili interventi di supporto.
Non si tratta soltanto di soffermarsi sull'interazione tra le due solitudini nel caso dell'immigrato che si trasferisce all'estero, allontanandosi dai propri legami affettivi e dovendo nel contempo integrarsi in un nuovo ambiente (problematica enorme, che tuttavia esula dal nostro intervento: v. Il Percorso Guidato: a chi si rivolge), ma più semplicemente del fatto - ripetutamente constatato dagli studi sul tema - che una grave frustrazione a livello affettivo (bisogno d'attaccamento) può facilmente scatenare una reazione di sfiducia e ritiro da tutto e tutti, che s'allarga a macchia d'olio in tutta la sfera relazionale, producendo così anche un addizionale isolamento sociale, che certo non aiuta a superare il problema.
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