I CRITERI OPERATIVI
1. Ridefinire il problema
Quanto più percepiamo la nostra sofferenza (in questo caso: la solitudine) come determinata unicamente da fattori esterni/interni “non controllabili”, tanto più la nostra condizione ci apparirà disperante.
Più esattamente, tutte le ricerche degli ultimi anni confermano una correlazione stretta tra l’intensità del vissuto di solitudine e il tipo di attribuzione causale che viene adottata per spiegare la propria condizione di mancanza. La solitudine è, infatti, più sofferta − e più incline a evolvere in depressione − se viene attribuita a cause permanenti (dunque “insormontabili”), piuttosto che transitorie, siano esse di tipo esterno (vedovanza, trasferimento, ecc…), o di tipo interno (deficit fisico, o presunte "connaturate" carenze nelle capacità di relazione).
Restituire alla “donna sola” un orizzonte in cui non si senta più come una zattera alla deriva nel mare in tempesta, ma si accorga di disporre almeno di un “timone” per governare la propria barca, significa a nostro avviso aiutare la persona a ritrovare quella prospettiva di speranza che tanto spesso viene meno, insieme alla forza smarrita di fronteggiare costruttivamente l’avversità.
Un vizio comune a molte di noi è quello di pensare: “Poiché voglio tutto, non sono disposta ad accettare niente che non sia quel tutto”. Concretamente, per le donne in divieto d’amore, significa di solito: “Poiché voglio un partner (o un figlio, o questa o quella persona che ormai non c’è più), dato che solo questo risolverebbe davvero i miei problemi, di tutto il resto non m’importa…”
Sfatare questa presupposizione limitante è spesso il primo passo per innescare il cambiamento.
Molte donne che sono rimaste single “per necessità” vagheggiano convivenza e matrimonio in termini meramente idilliaci, senza avere la più pallida idea di tutte le limitazioni alla libertà personale che qualsiasi coabitazione comporta. Matrimonio e convivenza costringono a fare i conti con innumerevoli compromessi nel quotidiano, come di solito sanno bene le cosiddette “single di ritorno” (separate, divorziate, vedove). Inoltre, ci si può sentire sole anche in coppia, quando il compagno non è affatto sintonizzato con la nostra “sostanza”.
L’amore è un miracolo di condivisione, che non si riduce né al sesso né alla convivenza. Dopo i magici momenti iniziali della fase di innamoramento, la vita a due segue inesorabilmente un "cammino in salita", che richiede da parte di entrambi i membri della coppia buone capacità di empatia, comunicazione e, soprattutto, flessibilità. Per questo già Young (1982), nella sua Terapia Cognitiva della Solitudine, individuava una scala gerarchica di 6 stadi nella costituzione delle relazioni, dove il rapporto di coppia figura soltanto all'ultimo stadio, e presuppone (proprio per il criterio "gerarchico") che si sia già imparato a destreggiarsi con efficacia e spontaneità ai livelli precedenti (v. Gli stadi gerarchici del superamento della solitudine secondo Jeffrey E. Young ).
Il vuoto affettivo non si vince automaticamente trovando un partner.
Se si aspira a costruire un'unione stabile, bisogna essere innanzi tutto capaci di scegliere per sé un partner adeguato (mentre alcune donne sembrano sistematicamente attratte soltanto dalle tipologie maschili meno raccomandabili per la loro felicità: es. "lo scopatore seriale", "il bello e impossibile", "lo sposato", ecc...; v. Norwood, 1989). Ma anche una volta trovato il "compagno giusto", occorre comunque essere in grado di mantenere nel tempo la relazione che si è costruita, salvo ritrovarsi di nuovo "sole" nel giro di una manciata di mesi.
La vita di coppia può soltanto essere il traguardo finale della persona sola: più che "il rimedio alla solitudine", rappresenta una possibilità che normalmente si offre solo a chi ha già imparato a stare sufficientemente bene con se stessa e a relazionarsi efficacemente con gli altri. La fiaba del Principe Azzurro che col suo bacio risveglia la principessa addormentata nel bosco (risolvendo la sua solitudine) non è altro che un mito.
Le amicizie non offrono i vantaggi della convivenza, ma nemmeno i suoi oneri. Possono pertanto costituire una sorta di "palestra" preliminare, vale a dire un' area protetta di sperimentazione di sé entro un rapporto significativo, senza tuttavia sovraccaricare con tutte le difficoltà della convivenza. In questa prospettiva, imparare intanto a costruire e mantenere almeno un’amicizia femminile davvero importante non solo costituisce un primo passo fondamentale in vista di un eventuale rapporto di coppia a venire, ma può fornire nell’immediato anche un fondamentale attenuatore del vissuto di solitudine e del relativo malessere. Aiutare le donne in divieto d’amore a reindirizzare le proprie risorse verso questo ed altri scopi realistici (piuttosto che lasciarle piangere sull’uomo mancante o perduto, sul figlio mai nato, sui genitori ormai deceduti) significa pertanto ridefinire il problema, liberandolo da quel connotato d’ineluttabilità che tanto spesso lo accompagna.
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"C'è nella solitudine una dose di libertà alla quale ci si rifiuta sempre di credere finché non la si è perduta." (Jacques Salomé)
AUTOSTIMA E ASPETTATIVE
C'è una dato che balza agli occhi in tutte le indagini psicosociali condotte negli ultimi anni sul problema della solitudine: sentirsi sole non dipende tanto da fattori obiettivi quanto piuttosto dalle aspettative soggettive che si ripongono nelle relazioni, dalla capacità di stringere nuove amicizie, e dal grado di autostima che caratterizza la persona.
A parità di situazione obiettiva, si sente "più sola" la donna che ha meno considerazione di sé (e per questo teme il giudizio degli altri), meno fiducia nelle proprie capacità relazionali, e che nutre aspettative idealizzanti (=eccessive) sulla relazione che vorrebbe e non ha.
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Consigli di lettura
EDIZIONE ITALIANA:
Jacques Salomé (1982), Parlami... ho tante cose da dirti, tr. it., Borla, Roma, 1994.
Intrigante libricino di circa 240 pagine sulle dinamiche di coppia, si presenta come un testo divulgativo di facile lettura, scritto con uno stile piacevolmente aneddotico e impressionistico. Sintetico, e senza le pretese di una trattazione scientifica, affronta a volo d’uccello - talora in modo quasi poetico - le varie fasi della vita di coppia e le problematiche di comunicazione che solitamente vi si presentano. Ha il pregio di costituire una vera miniera di citazioni e aforismi, che spesso fanno davvero riflettere, e che - almeno nell’edizione francese da me acquistata a Parigi molti anni or sono - sono evidenziate nel testo da apposite “incasellature” e accompagnate da disegni stilizzati allusivi in bianco e nero.