C.D.P. - Cercasi Disperatamente Partner
15.07.2015 09:41
In un mondo popolato prevalentemente da famiglie e da coppie, la donna che si ritrova in età adulta senza un partner è quasi inevitabilmente costretta a sentirsi come una mosca bianca.
Anche se le statistiche demografiche mostrano una continua crescita del numero di persone – uomini e donne – che vivono sole, la categoria dei single, finché fatta coincidere con quella delle famiglie unipersonali, ci dice poco della situazione sentimentale delle interessate. È vero che dagli anni ’70 a oggi l’emancipazione femminile e le conquiste ottenute dalle donne in termini di pari opportunità hanno reso sempre più anacronistico un modello femminile che abbia come scopo della propria vita soltanto il matrimonio e la maternità, ma è altrettanto vero che la donna contemporanea, pur se impegnata negli anni giovanili in percorsi sempre più lunghi di studio e di avvio alla professione, solitamente non disdegna la prospettiva di costruirsi anche una propria famiglia. Magari si sposa più tardi o preferisce la semplice convivenza, e sempre più avanti negli anni mette al mondo il primo figlio, ma la libera scelta di restare per sempre affettivamente single – votandosi esclusivamente al lavoro o a propri interessi particolari - resta tuttora una decisione controcorrente, limitata soltanto a una ristretta minoranza delle donne. Nel lungo termine, la vera singletudine (quella affettiva, diversamente da quella meramente abitativa) è assai più spesso una conseguenza delle circostanze (storie sentimentali finite male, dedizione totale ai figli dopo una separazione o un divorzio, genitori non autosufficienti che richiedono una fagocitante assistenza, difficoltà a trovare l’uomo di cui innamorarsi, ecc…) piuttosto che il frutto di una deliberata scelta di vita.
Quello che va cambiando in modo proteiforme è invece il modello contemporaneo di famiglia, che ha perso la necessità di una formalizzazione istituzionale del legame (coppie di fatto in alternativa alle coppie coniugali) insieme alla stabilità che contrassegnava l’unione (numero crescente di separazioni e divorzi) e alla rigida circoscrizione dei confini familiari (famiglie ricomposte, con figli provenienti da unioni precedenti; famiglie monogenitoriali che si affidano largamente ai nonni per l’accudimento dei figli, ecc.). Il quadro non sembra comunque quello di una rinuncia alla vita di coppia, quanto piuttosto il suo declinarsi in forme assai più diversificate di un tempo, che pervengono alla convivenza o al matrimonio solo in talune circostanze. Non va dimenticato, infatti, come la maggiore libertà sessuale abbia portato i giovani a stringere relazioni di coppia affettivamente importanti (brevi o pluriennali) fin dagli anni delle scuole superiori e/o dell’università, quando ancora si vive in famiglia mantenuti dai genitori, o comunque prima che un consolidamento dell’attività lavorativa permetta di sostenere il “salto socioeconomico” dell’uscita da casa. Queste prime relazioni di coppia somigliano ben poco al classico “fidanzamento” del secolo scorso, sia per un’ormai disillusa consapevolezza che raramente l’innamorato degli anni giovanili sarà anche la persona che poi si sposerà, sia perché si tratta di rapporti che godono di libertà impensabili solo una trentina d’anni or sono (dimensione sessuale esplicitamente o implicitamente accettata dai genitori, intimità relazionale affrancata dal'ingerenza delle famiglie, contatti reciproci infittiti dall'uso di cellulari e social network, possibilità di vacanze o viaggi di coppia, ecc…).
Questo, insieme alle frequenti sperimentazioni di convivenza che precedono i matrimoni, al numero crescente di separazioni e divorzi, al ricostituirsi di nuovi nuclei familiari dopo la rottura di un’unione precedente, o alla scelta di tante e tanti separati e divorziati di evitare un secondo vincolo coniugale a favore di rapporti in cui i due partner continuano a vivere ciascuno a casa propria, fa sì che nel corso della vita sia ormai sempre più normale anche per donne l’esperienza in senso diacronico di una pluralità di rapporti di coppia con partner diversi.
La figura della zitella è ormai scomparsa non soltanto dal nostro vocabolario ma anche dai nostri scenari, quale acida donna matura, senza un uomo e solitamente vergine, che in alcuni paesi del Sud si usava vestire nella bara con l’abito da sposa che non aveva mai indossato. Al suo posto vi è la single di oggi, che spesso è più libera, sessualmente emancipata e spumeggiante (hobby, lavoro, viaggi, interessi, con occasionali relazioni sessuali o con un partner da incontrare nei weekend o nelle serate programmate) di quanto non lo siano molte mogli frustrate o quelle madri che si devono quotidianamente barcamenare tra figli, casa e lavoro. Ma il quadro, anche per queste single di ultima generazione (mai sposate oppure single di ritorno), non è sempre così idilliaco. Quando un partner c’è, come presenza stabile e affidabile, la situazione è normalmente tra le più soddisfacenti: si può godere di tutta la propria libertà senza dovergli preparare i pasti o stirare le sue camicie, potendo nel contempo contare su una solida presenza affettiva e su una vita sessuale continuativa. Tuttavia, molte volte non si arriva alla convivenza solo perché è lui – piuttosto che entrambe le parti – a non volerla o a non renderla possibile: magari perché è stato “scottato” da un precedente matrimonio, o perché è sposato (o ha una convivente che non intende lasciare), o semplicemente perché l’imminente separazione annunciata e promessa tarda a divenire realtà per svariate ragioni. Il risultato è che un uomo da assumere col contagocce, secondo vincoli e disponibilità di tempo che sono più suoi che nostri, alla lunga finisce per creare più di un’insoddisfazione, soprattutto quando si è innamorate e lo si vorrebbe più presente e "tutto per sé".
Ecco dunque che la ricerca del partner (quello “giusto”!) affligge, scopertamente o segretamente, un numero cospicuo di donne – single, separate o divorziate - e in molti casi rischia di diventare un’ossessione e un tormento che a poco a poco avvelena la vita, come se in assenza di un partner non si fosse più capaci di apprezzare nient’altro (la gita, la vacanza, le amicizie, il lavoro, ecc…).
Così non è infrequente che donne senza un partner ricerchino di preferenza l'amicizia di altre coetanee nella loro stessa situazione - in quanto più libere e disponibili a "fare cose insieme" (shopping, cene, viaggi, ecc...) -, salvo che molto spesso il loro ritrovarsi insieme si riduce a un continuo parlare e recriminare sull'uomo assente. Nessun tema domina le conversazioni tra donne in divieto d'amore più di quello che riguarda i partner del passato, il partner che si vorrebbe e non si trova, o gli incontri maschili (casuali o cercati nei siti d'incontro) che rintuzzano le speranze e le frequenti delusioni che ne conseguono
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Consigli di lettura:
Jean-Claude Kaufmann, Donne sole e principi azzurri, 2a ed., Giunti, Firenze, 2012 (1a ed. : C'era una volta il Principe azzurro, Mondadori, Milano, 2000)
Come nuova edizione riveduta e ampliata del precedente volume La femme seule e le Prince charmant (J.-C. Kaufmann, C’era una volta il Principe azzurro, Mondadori, Milano, 2000), questo libro ripropone integralmente il testo originario, corredandolo di nuove considerazioni sull’impatto esercitato negli ultimi anni dall’esponenziale diffusione di internet, con riguardo alle nuove modalità di incontro proposte dalla rete e alla trasformazione in blog dei vecchi diari cartacei.
Opera sortita originariamente dalla richiesta posta a Kaufmann dalla rivista francese Marie-Claire, affinché il noto sociologo (che già si occupava dei single e della solitudine) analizzasse le 300 lettere femminili pervenute in redazione a seguito della pubblicazione di una lettera scritta da una donna single, il libro ottenne già nel 2000 un enorme successo di pubblico, sia per l’impatto emozionale del tema (sottotitolo dell’edizione italiana precedente: Donne che vivono da sole, ma non smettono di sognare; sottotitolo della seconda edizione: Modelli, incontri e contraddizioni della vita amorosa), sia per lo stile piacevolmente argomentativo di esposizione dei contenuti.
Pur rappresentando un lavoro di seria analisi sociopsicologica, il libro si presta a un'agevole lettura, con abbondanza degli “estratti epistolari” che danno voce al materiale analizzato e suscitano nelle donne facili identificazioni. Anche per questo ha costituito e costituisce, a livello divulgativo, una sorta di pietra miliare sul tema, da cui sono derivati concetti ormai largamente in uso, come quello di donna-Kaufmann o di dito accusatore.