L'isolamento sociale
15.02.2015 00:00
1. Sole in mezzo agli altri
Un giovanile sradicamento dalla rete originaria delle proprie relazioni familiari/amicali accomuna una porzione non irrilevante di quella generazione di donne italiane che oggi si trova ad avere tra i trenta e i sessant’anni. Dopo il trasferimento in altra città per motivi di studio o di lavoro, la maggior parte di loro si è tuttavia costruita una famiglia nel nuovo luogo d’adozione, ritessendo una propria rete di amicizie e acquisendo attraverso il coniuge una parentela aggiuntiva. La distanza fisica dai propri familiari e dalle amicizie d’infanzia è infatti relativamente facile da compensare quando si è giovani e ci si può tuffare appieno nella vita sociale (uscire con gli amici, partecipare alle feste, frequentare locali, andare in discoteca, fare nuove conoscenze…), spesso incontrando la persona di cui ci si innamora, e dando così avvio alla vita di coppia.
Per la donna single senza un partner le cose cominciano a diventare difficili intorno alla trentina. In questa fascia d’età quasi tutti gli amici e le amiche con cui prima riusciva a condividere il tempo libero finiscono di solito per sposarsi – se non l’hanno già fatto prima - come birilli che "cadono" nel matrimonio/convivenza uno dopo l'altro. Di lì a poco sopraggiungeranno per loro anche i figli. E tra gli impegni di lavoro e le responsabilità di famiglia, il tempo che potranno ancora dedicare alla vecchia amica single andrà vieppiù assottigliandosi. In aggiunta, per le nuove coppie di coniugi diventerà sempre più naturale preferire la compagnia di altre coppie, o di quei genitori che hanno figli della stessa età dei loro. In questo modo la single che oltrepassa la soglia dei trent’anni senza coniuge o convivente, e comunque senza un partner fisso (per sfortuna in amore o per sue priorità di lavoro e carriera), comincerà probabilmente con l’andar del tempo a ritrovarsi sempre più “isolata” rispetto alle persone che prima l’attorniavano - quando non del tutto priva di una solida rete interpersonale di supporto, nel caso risieda ormai distante dai propri familiari. Solo se ha la fortuna e la capacità di stringere “legami forti”, preferibilmente con altre donne parimenti single (con cui andare al cinema, condividere la serata o le domeniche, progettare il viaggio o la vacanza insieme, ecc...), riuscirà a conservare nella propria vita quella dimensione affettivo-relazionale che lavoro e carriera raramente bastano a saturare.
Lo stesso vale spesso anche per la quarantenne nubile che ha la propria abitazione indipendente nelle vicinanze della famiglia, o per la figlia adulta che ha sempre continuato a vivere con i genitori. In questi casi il legame familiare mai spezzato compensa parzialmente il diradarsi della frequentazioni di amiche sempre più indaffarate tra pappe e pannolini, ma il “fattore di crisi” interverrà probabilmente più avanti, con la morte dei genitori - magari accuditi per anni nella malattia –, e risulterà particolarmente difficile da gestire soprattutto per le figlie uniche, e per quante non hanno con fratelli e sorelle rapporti sufficientemente sereni e solidali. La perdita dei genitori le priva infatti di quell’affidabile punto di riferimento affettivo che nessun partner è riuscito nel frattempo a sostituire. La casa di famiglia parla ormai soltanto il linguaggio dell’assenza, e sembra non esserci più nessuno che si prenda davvero cura di loro, o di cui prendersi cura. Quello che pare restare è soltanto il vuoto, la nostalgia, il ricordo…
La situazione non è di solito migliore per le separate/divorziate (v. La coppia che si spezza), in particolare se non ci sono figli, e se la fine della relazione coniugale non è stata una loro scelta. I figli rappresentano, infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, un grande “nutrimento” al bisogno femminile di dare e ricevere amore. Perfino se abbandonata dall’uomo con cui li ha generati, una madre riesce spesso a trovare dentro di sé la “forza di una tigre” pur di proteggere, accudire e far star bene le proprie creature. È la forza dell’amore. Le madri separate/divorziate godono inoltre di un beneficio relazionale aggiuntivo rispetto alle single e alle separate senza figli: soprattutto quando i bambini sono ancora piccoli, la scuola, gli allenamenti sportivi, o le feste di compleanno offrono loro molte occasioni per stringere rapporti (“coltivabili”) con le madri e le famiglie degli altri bambini. Il carico da gestire è enorme per una genitrice che resta sola a occuparsi di figli ancora piccoli, ma il suo carico è spesso anche la sua più grande risorsa – se riesce a sfruttarla bene. Diversamente, i figli diventano piuttosto un vincolo addizionale che, sottraendole ogni tempo per se stessa, le preclude definitivamente la possibilità di coltivare propri interessi e intrecciare nuove amicizie e nuove relazioni interpersonali.
Altro caso ancora è quello della separata/divorziata senza figli, o con figli ormai abbastanza grandi da essere diventati autonomi. Qui la separazione e il divorzio finiscono di solito per frantumare gran parte di quella rete di relazioni familiari che era stata gestita durante il matrimonio come frequentazione - in coppia - di altre coppie e altre famiglie. Se poi la propria parentela risiede a decine o centinaia di chilometri di distanza, restano solo le “amicizie individuali” in precedenza costruite – purché si sia saputo coltivarle a dispetto degli impegni di lavoro e di famiglia. Altrimenti, quando alla rottura col coniuge si assomma la mancanza di altre relazioni di supporto, la solitudine si spalanca su tutti i fronti, aggravata peraltro dalla lunga desuetudine a cercare nuove conoscenze e a stringere nuovi rapporti. Così la solitudine “morde” con particolare ferocia, dopo che ci si era ormai abituate al calore di un altro corpo nel letto, quando le stanze diventano improvvisamente “vuote”, e l’unica voce che resta è quella che proviene dal televisore… Lo sanno bene anche tutte quelle donne che devono affrontare la morte prematura del coniuge, o di un compagno con cui si aspettavano di poter invecchiare insieme (v. Il lutto).
Queste situazioni sono, ovviamente, solo alcuni esempi emblematici di ciò che intendo per “essere sole”, rispetto ad altre circostanze dove la solitudine è sentita piuttosto a livello interiore, nonostante la vicinanza di persone affettivamente importanti (v. sentirsi sola), o viene così temuta da spingere ad accontentarsi di relazioni inconsistenti e dannose per il proprio benessere piuttosto che provare ad affrontarla (v. paura di restare sola).
Nella maggior parte dei casi in cui il “divieto d’amore” finisce per coincidere con una situazione non voluta di isolamento sociale, la soluzione al problema viene di solito cercata con la “caccia al partner”, o a un nuovo partner, per la gioia dei vari siti d’incontro e per il lucro delle agenzie matrimoniali. Quello che invece, a mio avviso, troppo spesso non si capisce abbastanza è che non è il nostro disperato bisogno di amore (e di compagnia, e di relazione) ad attirarci l’interesse di un’altra persona. Gli affetti (e ancor più l'amore), dobbiamo invece guadagnarceli, coltivando la nostra capacità di voler bene a noi stesse e imparando ad amare davvero anche qualcun altro, senza ridurlo a "stampella" che ci sostenga. Nel nostro mondo imperfetto un bisogno individuale acquista raramente lo statuto di un diritto, altrimenti non ci sarebbero così tante persone che muoiono di fame, e tante cose funzionerebbero in modo diverso…Questa è la triste realtà con cui dobbiamo tutte fare i conti.
Io penso quindi che la vita non possa consistere soltanto nel felice sollazzo su qualche spiaggia dorata, ma che ci richieda piuttosto di imparare qualcosa. Ciascuna di noi ha avuto o avrà dalla vita le sue sfide – chi più, chi meno. Ma ogni volta che queste si presentano, possiamo decidere di arrenderci e soccombere, oppure possiamo tentare di cogliere proprio dagli strali che ci hanno colpito - e dal nostro stesso dolore - la grande opportunità di trasformarci in una direzione che altrimenti non avremmo mai preso in considerazione…Nulla accade per caso.
Credo quindi che anche quel vissuto di solitudine che tante di noi si trovano in certe occasioni a dover affrontare possa leggersi come una prepotente chiamata che ci chiede di attivarci per trovare una soluzione e rispondere in maniera adeguata. Se dunque, nella mia zona (Giussano, Brianza, Milano e hinterland, Como e Lecco) qualcuna di voi si sta dibattendo in questo senso di isolamento, e sembra faticare a venirne fuori da sola, con il mio PERCORSO DI GESTIONE DELLA SOLITUDINE offro un aiuto professionale che può valere a guidarla - per quanto possibile - fuori dal suo deserto.
2. Sradicamento
Mentre un tempo era consuetudine che la donna lasciasse la famiglia d’origine solo in occasione del matrimonio, negli ultimi cinquant'anni l’emancipazione femminile ha portato molte giovani donne ad allontanarsi stabilmente dalla casa dei genitori per motivi di studio o di lavoro, quando non semplicemente per l’esigenza di conquistarsi una propria indipendenza.
Questo fenomeno ha trasformato anche in Italia la mobilità geografica femminile, tradizionalmente legata alle esigenze della vita coniugale (la giovane sposa che si stabilisce nel luogo di residenza del marito, e poi lo segue nei suoi eventuali trasferimenti lavorativi), portando sulla scena una nuova figura di donna: quella che abbandona i luoghi nativi per trasferirsi da sola nella città universitaria o in quella metropoli (italiana o straniera) che le offre migliori opportunità di lavoro e carriera. Milano (come città e come hinterland) ha accolto negli anni molte di loro.
Fino agli anni ’90, quando le nostre sedi universitarie erano ancora limitate agli storici atenei di poche grandi città, questa “dislocazione a fini di studio” era d’obbligo per qualsiasi studentessa vivesse troppo distante dall’università in cui voleva iscriversi e seguire i corsi. Anche se in molti casi si trattava di un trasferimento soltanto provvisorio - sovvenzionato in tutto o in parte dalla famiglia -, in altri casi poteva tuttavia rappresentare il trampolino di lancio per un’avventura senza ritorno, vuoi per l’esigenza di ulteriori specializzazioni successive alla laurea, vuoi per le opportunità lavorative che spesso si aprivano proprio in quella o in altra città, o per il legame di coppia nel frattempo instauratosi con un ragazzo del posto. Analogamente, sia il pubblico impiego sia le allettanti offerte di lavoro delle aziende/servizi del Centro-Nord hanno a lungo rappresentato per molte giovani donne del meridione, o di aree rurali economicamente più depresse, l’occasione per lasciare, spesso definitivamente, luoghi d’origine senza adeguati sbocchi lavorativi.
Questo fenomeno è andato indubbiamente riconfigurandosi negli ultimi anni, a seguito della crisi economica e del tasso raggiunto dalla disoccupazione giovanile. L’uscita da casa dei giovani è diventata ormai sempre più difficile per ambedue i sessi, a causa della difficoltà di trovare un lavoro che permetta di mantenersi autonomamente. Alla precedente migrazione infra-nazionale - dal Sud al Centro-Nord, dai piccoli centri rurali alle grandi città – si va quindi ormai sostituendo un flusso migratorio delle nuove generazioni che si dirige piuttosto verso l’estero.
D'altro lato, accogliamo ormai da qualche decennio nel nostro Paese una fitta schiera di donne dell’Europa dell’Est, che in parte hanno rappresentato il grande business delle nostre agenzie matrimoniali, ma in altrettanta parte sono diventate le indispensabili figure di accudimento dei nostri anziani – come badanti, come infermiere, come O.S. – nella tragedia di una popolazione destinata sempre più a invecchiare in condizioni di non-autosufficienza e demenza, spesso ingestibili entro le nostre famiglie nucleari. Per non parlare di un’Italia ormai diventata l’approdo di tutta l’onda di migranti che il Mediterraneo ci riversa addosso: altrettanti sradicati e sradicate, che siamo – ahimè! - tragicamente impossibilitati ad accogliere con quel rispetto che sarebbe invece dovuto alla loro dignità umana.
Senza tuttavia addentrarci in questa sede nel tremendo capitolo delle attuali problematiche nazionali d’immigrazione e integrazione sociale - che spalancano ben altri allarmi rispetto a quello della “solitudine” – basti dunque considerare qui il fenomeno di "sradicamento" derivato dagli spostamenti territoriali femminili interni al nostro Paese.